martedì 4 settembre 2012

La Mozzarella: verità e ipocrisie.

Salve a tutti,

torno a scrivere dopo un lungo periodo di impegni lavorativi ...di ritorno da un breve periodo di vacanza.
Per questo argomento, prendo spunto proprio dal breve periodo di vacanza trascorso tra la Sicilia e la Puglia, terre di importanti tradizioni gastronomiche.



Tra i vari formaggi, avevo proprio desiderio di assaporare la "tipica" Mozzarella vaccina pugliese, quella fatta al mattino da consumare in giornata!




Trovandomi nella zona del barese, ho avuto occasione di assaggiarne diverse, prodotte da vari piccoli caseifici "artigianali" 
( per intenderci, quelli con laboratorio dietro e negozio fronte strada).
Entri nel negozio-caseificio e le vedi immerse in quelle cassette bianche ( o acciaio inox), sfuse, che galleggiano nel proprio latticello (liquido di governo). 
Non vedi l'ora di dare un morso ad una di loro, gustarla....





Beh, devo ammettere di aver trovato notevoli differenze l'una dall'altra, alcune molto saporite e lattiginose, altre, prodotte a pochi isolati, decisamente dure ed insipide!

Mi son detto...eppure mi trovo nella culla della Mozzarella pugliese, perché trovo così tante diversità tra un laboratorio e l'altro?
Naturalmente se chiedi ai diretti interessati ( casari) ti raccontano del buon latte e del proprio metodo "segreto". In verità solo qualcuno ti dice se, tra gli ingredienti, usa "lattoinnesto naturale" oppure "fermenti lattici selezionati" od ancora " acido citrico". Per capire, devi leggere con attenzione la lista ingredienti ( in alcuni locali tenuta ben nascosta).

Ricordatevi però, che questa tipologia di Mozzarella vaccina "artigianale", presenta le sue migliori caratteristiche organolettiche solo se consumata in giornata!
Dal giorno successivo infatti non è più la stessa cosa!

Devo anche dirvi che NON ho avuto occasione di imbattermi sulle famigerate Mozzarelle "blu", anche se alcuni laboratori, purtroppo, non presentavano condizioni igieniche "esemplari".
Erano  tutte "troppo fresche" per presentare il difetto!




Riferendomi agli argomenti sopra citati, voglio allora riportarvi integralmente due recenti articoli redatti da Il Fatto Alimentare   http://www.ilfattoalimentare.it/

che affrontano le problematiche menzionate e che ci fanno capire come stanno le cose nel mondo della Mozzarella. Condivido quanto riportato.


(da il Fatto Alimentare 22 luglio 2012)

 

I segreti della mozzarella sono quattro ingredienti. 

Il test di Altroconsumo promuove 15 campioni su 17


Il 95% degli italiani consuma almeno una volta al mese una mozzarella, in genere, di latte vaccino. Nonostante la capillare diffusione del prodotto, pochi lo conoscono veramente perché solo una parte dei caseifici segue lo schema classico di lavorazione e utilizza i quattro ingredienti canonici: latte, fermenti, caglio e sale. Il consumatore quando si reca al supermercato trova sugli scaffali 5-6 tipi di mozzarelle vendute a prezzi variabili da 5 a 14 €/kg e fatica a capire le differenze. Per orientarsi viene in aiuto un test analitico, messo a punto all'inizio del 2010, da Michele Faccia insieme ad Aldo Di Luccia  della facoltà di Agraria dell'Università di Bari. Il sistema permette di capire se il produttore usa al posto del latte fresco una cagliata refrigerata o congelata (semilavorato ottenuto sempre da latte, ma meno costoso perché prodotto in paesi molto più competitivi, e che presenta anche il vantaggio di ridurre i tempi e i costi di lavorazione).

La normativa vigente purtroppo non obbliga le aziende a riportare sulle etichette l’indicazione di origine delle materie prime e nemmeno l'obbligo di precisare l'impiego di cagliate. 

 La vera mozzarella. Lo schema classico di produzione prevede l’aggiunta al latte vaccino di fermenti lattici, in modo da creare un ambiente acido, e del caglio ricavato dallo stomaco dei bovini per ottenere la cagliata. Dopo questa prima fase la cagliata riposa per 3-4 ore, lasciando così il tempo ai fermenti di agire. La seconda fase prevede l’aggiunta del sale e l’impasto in acqua bollente (la “filatura”) in modo da trasformare la cagliata in mozzarella. L'ultima operazione è il raffreddamento seguito dal confezionamento.



I costi di questo sistema tradizionale sono elevati per via dei tempi morti durante la lavorazione e dell'impiego di latte fresco. Per produrre un chilo di mozzarella servono 7/8 litri di latte fresco e il caseificio deve essere dotato di un sistema di raccolta e di refrigerazione. La qualità finale dipende dalla bontà del latte e dai fermenti che determinano aroma e sapore. Queste mozzarelle si riconoscono perché sull’etichetta compaiono solo quattro ingredienti: latte, fermenti lattici, caglio e sale. I costi di produzione oscillano da 6 a 7 €/kg che raddoppiano al dettaglio. 

La mozzarella fast. Quando nel corso della produzione i fermenti lattici vengono sostituiti totalmente o in buona parte con acido citrico o acido lattico tutto diventa più semplice e, soprattutto, più rapido, perché si salta la fermentazione. C'è però un inconveniente, se l'azione dei fermenti lattici è ridotta, alla fine il formaggio ha meno sapore e si cerca di rimediare con maggiori quantità di sale. Si stima che la metà dei produttori utilizzi acido lattico e acido citrico per ridurre tempi e costi. La mozzarella fast si riconosce perché nell'elenco degli ingredienti normalmente si trova la dicitura: "correttore di acidità: acido citrico e/o acido lattico". Il costo di produzione oscilla da 4,5 a 5 €/kg, che raddoppia al supermercato. 

La mozzarella senza latte esiste. Basta trasferire la cagliata congelata o refrigerata in acqua calda, aggiungere sale e, se necessario, un pizzico di acido citrico, filare l’impasto e infine
raffreddare e confezionare.



Il sistema è molto rapido, non serve il latte e i costi di produzione oscillano da 3,0 a 4,0 €/kg, che raddoppiano nel listino al dettaglio.  Il prodotto non ha il sapore tipico di fresco, il colore può tendere maggiormente al giallo (ma attenzione, perchè questo non è di per sé un aspetto negativo), la struttura è meno “succosa” e, se si usa cagliata conservata da molto tempo, la mozzarella ha più il sapore del formaggio che non di latte fresco. Sull’etichetta dovrebbero essere indicati i seguenti ingredienti: "cagliata, acqua, sale, - seguiti dagli additivi: - acido citrico, lattico e, se presente, sorbato di potassio". Tuttavia, poiché la legge non obbliga ad indicare il termine “cagliata”, raramente questa parola compare tra le diciture in etichetta. 

Le mozzarelle pizzeria (vere e finte) hanno tutte la forma di parallelepipedo e sono utilizzate da molti pizzaioli perché contengono meno acqua. Quelle finte sono ottenute con cagliate refrigerate o congelate, miscelate con proteine del latte in polvere e in qualche caso con formaggio fuso e costano meno per via degli ingredienti meno pregiati. 


Il vantaggio è che quando  la temperatura della pizza scende sotto i 50°C, la finta mozzarella pizzeria fila ancora e questo aspetto è molto apprezzato dai clienti. Per evitare problemi legali sulle etichette non compare la parola mozzarella, ma solo nomi di fantasia come “pizzetto”, “pizzottelo”, “pizza  fast”, “pronto pizza”… Attenzione però perchè in vendita ci sono anche marche famose che propongono vera mozzarella pizzeria a forma di parallelepipedo (dall'aspetto più asciutto rispetto a quella tipica ottenuta solo da latte e fermenti). Quindi non sempre la forma rettangolare equivale alle finte mozzarelle. 


Di fronte a tanta confusione è necessario ridefinire le categorie merceologiche e stabilire che la mozzarella vera si fa in un solo modo. Gli altri tipi di formaggio a pasta filata, che costano meno e rappresentano il 50% del mercato, possono essere tranquillamente commercializzati ma devono essere classificati in altri modi.

Un test pubblicato nel giugno 2011  dalla rivista Altroconsumo su 17 mozzarelle di latte vaccino, confermava l'esistenza di un buon livello igienico e nella prova del gusto dà un giudizio accettabile a quasi tutti i campioni. Ai primi posti Valtenera dei supermercati In's, seguita da Granarolo, Conad e Land dei supermercati Eurospin. Negativo il parere sul sapore di Sole e Galbani Santa Lucia.

Roberto La Pira
Foto: Photos.com



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(da il Fatto Alimentare 10 maggio 2012)

 

Milano: la mozzarella blu arriva in mensa, e scoppia il panico, ma non ci sono pericoli per la salute. Il parere dell'esperto


Ieri in una scuola milanese è stata servita mozzarella con una colorazione bluastra. Tra gli insegnanti c'è stato qualche momento di panico, ma si tratta di un problema abbastanza diffuso che si ripete regolarmente ogni mese in diversi caseifici.
Basta ricordare che il 2012 è iniziato con un’ondata di sequestri in Ciociaria e quello di Milano è solo l'ultimo episodio.

Una cosa deve essere chiara, la pigmentazione blu non indica la presenza di batteri pericolosi e non è collegata alla qualità della materia prima. Purtroppo gli esperti ancora non sono riusciti a trovare un sistema per prevenire la colorazione che si ripresenta puntualmente. Ecco cosa scrivevamo due mesi fa in una nota che risulta di estrema attualità. 

Il colore è dato da batteri del genere Pseudomonas fluorescens e segnala un decadimento qualitativo del prodotto che, perciò, deve essere ritirato dagli scaffali a causa dell'insufficiente attenzione delle condizioni igieniche-microbiologiche.

Ma quali sono 
le caratteristiche del batterio? Ce lo spiega Giorgio Varisco, direttore sanitario dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna di Brescia. Dove, dal 2010 a oggi, sono stati effettuati circa 200 controlli su campioni sospetti. «Lo Pseudomonas fluorescens è un batterio largamente diffuso in natura, in particolare nel suolo, nelle acque superficiali e nella vegetazione. Condivide con le altre decine di specie della famigliaPseudomonas la capacità di adattarsi bene a varie situazioni ambientali e solo quando si trova in determinate condizioni può - o meglio, alcune delle specie note possono - produrre pigmenti che causano colorazioni anomale nei cibi.

Tra gli "alimenti-veicolo" del microrganismo ci sono l’acqua, il latte, i vegetali e la carne, ma in realtà lo si trova un po' dappertutto: non può essere pertanto considerato un patogeno “nuovo” o “emergente”, ossia che dà origine a contaminazioni che in precedenza non si sono mai verificate o in matrici che non venivano considerate a rischio per quel determinato microrganismo».

Il responsabile del poco gradito colore blu non è dunque un soggetto sconosciuto; al contrario, è molto noto e si sa anche che non ha conseguenze sulla salute: causa solamente alterazioni dal punto di vista organolettico negli alimenti e strane colorazioni rendendo il cibo inutilizzabile. Ma se lo Pseudomonas  è ubiquitario e si trova in molti alimenti, come mai si sono registrati tanti casi in diverse regioni italiane proprio nelle mozzarelle?

Spiega Varisco: «In realtà il problema è stato rilevato anche su altri formaggi sia a pasta filata che di altra tipologia, e più in generale può riguardare anche carne, pesce, vegetali. Non tutti i ceppi di Pseudomonas fluorescens sono però pigmentanti: perciò questi batteri possono essere presenti anche in concentrazioni elevate senza che ci sia alterazione nel colore del cibo.

Per quanto 
riguarda la filiera del latte, lo Pseudomonas può entrare quando la materia prima utilizzata (latte o semilavorati caseari) è contaminata, oppure attraverso le acque utilizzate nel processo industriale durante le fasi di raffreddamento/rassodamento del prodotto o nella preparazione dei liquidi di governo, o, ancora, in seguito alla contaminazione dei locali di lavorazione. Il microrganismo è in grado di formare un sottilissimo strato di biofilm sulle superficie e sopporta bene anche le basse temperature, alle quali è comunque in grado di moltiplicarsi».

Come spesso accade quando scoppia una crisi come quella della mozzarella blu in Germania e poi in Italia, si è preso spunto dallo scandalo per approfondire le relazioni e le interazioni della coppia Pseudomonas/mozzarella. «Il nostro istituto - continua Varisco - ha verificato se gli Pseudomonas isolati nei campioni di mozzarella colorata avevano la stessa origine o se si trattava di episodi isolati. Gli studi eseguiti hanno dimostrato che esisteva una sorta di correlazione geografica, per cui gli episodi riscontrati in una determinata zona erano causati da microrganismi simili. Non si è riscontrato alcun collegamento fra gli episodi di colorazione avvenuti in località distanti fra loro».


Le conclusioni che si possono trarre dalla vicenda è che le contaminazioni sono occasionali, che l’origine è ancora incerta, che non ci sono pericoli per l’organismo e che si potranno ripresentare dei casi simili. Non è quindi il caso di creare allarmismi inutili, ma è opportuno esaminare i vari episodi e approfondire gli studi per contribuire ad aumentare la sicurezza.

Agnese Codignola 

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A presto!


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