torno a scrivere dopo un lungo periodo di impegni lavorativi ...di ritorno da un breve periodo di vacanza.
Per questo argomento, prendo spunto proprio dal breve periodo di vacanza trascorso tra la Sicilia e la Puglia, terre di importanti tradizioni gastronomiche.
Tra i vari formaggi, avevo proprio desiderio di assaporare la "tipica" Mozzarella vaccina pugliese, quella fatta al mattino da consumare in giornata!
Trovandomi nella zona del barese, ho avuto occasione di assaggiarne diverse, prodotte da vari piccoli caseifici "artigianali"
( per intenderci, quelli con laboratorio dietro e negozio fronte strada).
Entri nel negozio-caseificio e le vedi immerse in quelle cassette bianche ( o acciaio inox), sfuse, che galleggiano nel proprio latticello (liquido di governo).
Non vedi l'ora di dare un morso ad una di loro, gustarla....
Beh, devo ammettere di aver trovato notevoli differenze l'una dall'altra, alcune molto saporite e lattiginose, altre, prodotte a pochi isolati, decisamente dure ed insipide!
Mi son detto...eppure mi trovo nella culla della Mozzarella pugliese, perché trovo così tante diversità tra un laboratorio e l'altro?
Naturalmente se chiedi ai diretti interessati ( casari) ti raccontano del buon latte e del proprio metodo "segreto". In verità solo qualcuno ti dice se, tra gli ingredienti, usa "lattoinnesto naturale" oppure "fermenti lattici selezionati" od ancora " acido citrico". Per capire, devi leggere con attenzione la lista ingredienti ( in alcuni locali tenuta ben nascosta).
Ricordatevi però, che questa tipologia di Mozzarella vaccina "artigianale", presenta le sue migliori caratteristiche organolettiche solo se consumata in giornata!
Dal giorno successivo infatti non è più la stessa cosa!
Devo anche dirvi che NON ho avuto occasione di imbattermi sulle famigerate Mozzarelle "blu", anche se alcuni laboratori, purtroppo, non presentavano condizioni igieniche "esemplari".
Erano tutte "troppo fresche" per presentare il difetto!
Riferendomi agli argomenti sopra citati, voglio allora riportarvi integralmente due recenti articoli redatti da Il Fatto Alimentare http://www.ilfattoalimentare.it/
che affrontano le problematiche menzionate e che ci fanno capire come stanno le cose nel mondo della Mozzarella. Condivido quanto riportato.
(da il Fatto
Alimentare 22 luglio 2012)
I segreti della mozzarella sono quattro ingredienti.
Il test di Altroconsumo
promuove 15 campioni su 17
Il 95% degli italiani consuma
almeno una volta al mese una mozzarella, in genere, di latte vaccino. Nonostante la
capillare diffusione del prodotto, pochi lo conoscono veramente perché solo una
parte dei caseifici segue lo schema classico di lavorazione e utilizza i
quattro ingredienti canonici: latte, fermenti, caglio e sale. Il consumatore
quando si reca al supermercato trova sugli scaffali 5-6 tipi di mozzarelle
vendute a prezzi variabili da 5 a 14 €/kg e fatica a capire le differenze. Per
orientarsi viene in aiuto un test analitico, messo a punto all'inizio del 2010,
da Michele Faccia insieme ad Aldo Di Luccia della facoltà di Agraria
dell'Università di Bari. Il sistema permette di capire se il produttore usa al
posto del latte fresco una cagliata refrigerata o congelata (semilavorato
ottenuto sempre da latte, ma meno costoso perché prodotto in paesi molto più
competitivi, e che presenta anche il vantaggio di ridurre i tempi e i costi di
lavorazione).
La normativa vigente purtroppo non obbliga le
aziende a riportare sulle etichette l’indicazione di origine delle materie
prime e nemmeno l'obbligo di precisare l'impiego di cagliate.
La vera mozzarella. Lo schema classico di
produzione prevede l’aggiunta al latte vaccino di fermenti lattici, in modo da
creare un ambiente acido, e del caglio ricavato dallo stomaco dei bovini per
ottenere la cagliata. Dopo questa
prima fase la cagliata riposa per 3-4 ore, lasciando così il tempo ai fermenti
di agire. La seconda fase prevede l’aggiunta del sale e l’impasto in acqua
bollente (la “filatura”) in modo da trasformare la cagliata in mozzarella.
L'ultima operazione è il raffreddamento seguito dal confezionamento.
I costi di questo sistema
tradizionale sono elevati per via dei tempi morti durante la lavorazione e
dell'impiego di latte fresco. Per produrre un chilo di mozzarella servono 7/8
litri di latte fresco e il caseificio deve essere dotato di un sistema di
raccolta e di refrigerazione. La qualità finale dipende dalla bontà del latte e
dai fermenti che determinano aroma e sapore. Queste mozzarelle si riconoscono
perché sull’etichetta compaiono solo quattro ingredienti: latte, fermenti
lattici, caglio e sale. I costi di produzione oscillano da 6 a 7 €/kg che
raddoppiano al dettaglio.
La mozzarella fast. Quando nel corso della
produzione i fermenti lattici vengono sostituiti totalmente o in buona parte
con acido citrico o acido lattico tutto diventa più semplice e, soprattutto,
più rapido, perché si salta la fermentazione. C'è però un inconveniente, se
l'azione dei fermenti lattici è ridotta, alla fine il formaggio ha meno sapore
e si cerca di rimediare con maggiori quantità di sale. Si stima che la metà dei
produttori utilizzi acido lattico e acido citrico per ridurre tempi e costi. La mozzarella fast si riconosce perché
nell'elenco degli ingredienti normalmente si trova la dicitura:
"correttore di acidità: acido citrico e/o acido lattico". Il costo di
produzione oscilla da 4,5 a 5 €/kg, che raddoppia al supermercato.
La mozzarella senza latte esiste. Basta trasferire la cagliata congelata o refrigerata in acqua calda, aggiungere sale e, se
necessario, un pizzico di acido citrico, filare l’impasto e infine
raffreddare e confezionare.
Il sistema è molto rapido, non serve il latte e
i costi di produzione oscillano da 3,0 a 4,0 €/kg, che raddoppiano nel listino
al dettaglio. Il prodotto non ha il sapore tipico di
fresco, il colore può tendere maggiormente al giallo (ma attenzione, perchè
questo non è di per sé un aspetto negativo), la struttura è meno “succosa” e,
se si usa cagliata conservata da molto tempo, la mozzarella ha più il sapore
del formaggio che non di latte fresco. Sull’etichetta dovrebbero essere
indicati i seguenti ingredienti: "cagliata, acqua, sale, - seguiti dagli additivi:
- acido citrico, lattico e, se presente, sorbato di potassio". Tuttavia,
poiché la legge non obbliga ad indicare il termine “cagliata”, raramente questa
parola compare tra le diciture in etichetta.
Le mozzarelle pizzeria (vere e finte) hanno tutte la forma di parallelepipedo e sono utilizzate da molti
pizzaioli perché contengono meno acqua. Quelle finte sono ottenute con cagliate
refrigerate o congelate, miscelate con proteine del latte in polvere e in
qualche caso con formaggio fuso e costano meno per via degli ingredienti meno
pregiati.
Il vantaggio è che quando la temperatura
della pizza scende sotto i 50°C, la finta mozzarella pizzeria fila ancora e
questo aspetto è molto apprezzato dai clienti. Per evitare problemi legali sulle
etichette non compare la parola mozzarella, ma solo nomi di fantasia come
“pizzetto”, “pizzottelo”, “pizza fast”,
“pronto pizza”… Attenzione però perchè
in vendita ci sono anche marche famose che propongono vera mozzarella pizzeria a forma di parallelepipedo (dall'aspetto più asciutto rispetto a
quella tipica ottenuta solo da latte e fermenti). Quindi non sempre la forma
rettangolare equivale alle finte mozzarelle.
Di fronte a tanta confusione è necessario ridefinire le categorie merceologiche e stabilire che la mozzarella vera si fa in un solo modo. Gli altri tipi di formaggio a pasta filata, che costano meno e rappresentano il 50% del mercato, possono essere tranquillamente commercializzati ma devono essere classificati in altri modi.
Un test pubblicato nel giugno
2011 dalla rivista Altroconsumo su 17 mozzarelle di latte vaccino, confermava l'esistenza di un buon livello
igienico e nella prova del gusto dà un giudizio accettabile a quasi tutti i
campioni. Ai primi posti Valtenera dei supermercati In's, seguita da Granarolo,
Conad e Land dei supermercati Eurospin. Negativo il parere sul sapore di Sole e
Galbani Santa Lucia.
Roberto La Pira
Foto: Photos.com
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(da il Fatto
Alimentare 10 maggio 2012)
Milano:
la mozzarella blu arriva in
mensa, e scoppia il panico, ma non ci sono pericoli per la salute. Il parere
dell'esperto
Ieri in una scuola milanese è stata servita mozzarella con una colorazione bluastra. Tra gli insegnanti c'è stato
qualche momento di panico, ma si tratta di un problema abbastanza diffuso che
si ripete regolarmente ogni mese in diversi caseifici.
Basta ricordare che il 2012 è iniziato con un’ondata di sequestri
in Ciociaria e quello di Milano è solo l'ultimo episodio.
Una cosa deve essere chiara, la pigmentazione blu
non indica la presenza di batteri pericolosi e non è collegata alla qualità
della materia prima. Purtroppo gli esperti ancora non sono riusciti a trovare
un sistema per prevenire la colorazione che si ripresenta puntualmente. Ecco
cosa scrivevamo due mesi fa in una nota che risulta di estrema attualità.
Il colore è dato da batteri del
genere Pseudomonas fluorescens e segnala un decadimento qualitativo del prodotto che,
perciò, deve essere ritirato dagli scaffali a causa dell'insufficiente
attenzione delle condizioni igieniche-microbiologiche.
Ma quali sono
le caratteristiche del
batterio? Ce lo spiega Giorgio
Varisco, direttore sanitario dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della
Lombardia e dell'Emilia Romagna di Brescia. Dove, dal 2010 a oggi, sono stati
effettuati circa 200 controlli su campioni sospetti. «Lo Pseudomonas
fluorescens è un batterio largamente diffuso in natura, in particolare nel
suolo, nelle acque superficiali e nella vegetazione. Condivide con le altre
decine di specie della famigliaPseudomonas la capacità di adattarsi bene a varie
situazioni ambientali e solo quando si trova in determinate condizioni può - o
meglio, alcune delle specie note possono - produrre pigmenti che causano
colorazioni anomale nei cibi.
Tra gli
"alimenti-veicolo" del microrganismo ci sono l’acqua, il latte, i
vegetali e la carne, ma in realtà lo si trova un po' dappertutto: non può
essere pertanto considerato un patogeno “nuovo” o “emergente”, ossia che dà
origine a contaminazioni che in precedenza non si sono mai verificate o in
matrici che non venivano considerate a rischio per quel determinato
microrganismo».
Il
responsabile del poco gradito colore blu non è dunque un
soggetto sconosciuto; al contrario, è molto noto e si sa anche che non ha
conseguenze sulla salute: causa solamente alterazioni dal punto di vista
organolettico negli alimenti e strane colorazioni rendendo il cibo
inutilizzabile. Ma se lo Pseudomonas è ubiquitario e si trova in molti
alimenti, come mai si sono registrati tanti casi in diverse regioni italiane
proprio nelle mozzarelle?
Spiega Varisco: «In realtà il
problema è stato rilevato anche su altri formaggi sia a pasta filata che di
altra tipologia, e più in generale può
riguardare anche carne, pesce, vegetali. Non tutti i ceppi di Pseudomonas
fluorescens sono però pigmentanti: perciò questi batteri possono essere
presenti anche in concentrazioni elevate senza che ci sia alterazione nel
colore del cibo.
Per quanto
riguarda la filiera del latte, lo Pseudomonas può
entrare quando la materia prima utilizzata (latte o semilavorati caseari) è
contaminata, oppure attraverso le acque utilizzate nel processo industriale
durante le fasi di raffreddamento/rassodamento del prodotto o nella
preparazione dei liquidi di governo, o, ancora, in seguito alla contaminazione
dei locali di lavorazione. Il microrganismo è in grado di formare un
sottilissimo strato di biofilm sulle superficie e sopporta bene anche le basse
temperature, alle quali è comunque in grado di moltiplicarsi».
Come spesso accade quando scoppia una crisi come quella della mozzarella blu in Germania e poi in Italia, si è preso spunto dallo
scandalo per approfondire le relazioni e le interazioni della coppia
Pseudomonas/mozzarella. «Il nostro istituto
- continua Varisco - ha verificato se gli Pseudomonas isolati nei campioni di mozzarella colorata avevano la stessa origine o se si trattava di
episodi isolati. Gli studi eseguiti hanno dimostrato che esisteva una sorta di
correlazione geografica, per cui gli episodi riscontrati in una determinata
zona erano causati da microrganismi simili. Non si è riscontrato alcun
collegamento fra gli episodi di colorazione avvenuti in località distanti fra
loro».
Le conclusioni che si possono
trarre dalla vicenda è che le
contaminazioni sono occasionali, che l’origine è ancora incerta, che non ci
sono pericoli per l’organismo e che si potranno ripresentare dei casi simili.
Non è quindi il caso di creare allarmismi inutili, ma è opportuno esaminare i
vari episodi e approfondire gli studi per contribuire ad aumentare la
sicurezza.
Agnese Codignola
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