mercoledì 21 gennaio 2015

IL LATTE CRUDO DESTINATO ALLA CASEIFICAZIONE

Salve a tutti ,

spesso mi capita di incontrare alcuni produttori di formaggi " a latte crudo" tradizionali, i quali sono alla ricerca di informazioni utili per cercare di ridurre il rischio igienico derivante dall'uso appunto da latte  << non trattato termicamente>>.



Per tali produzioni casearie tradizionali, in un contesto di ricerca della salvaguardia della trasformazione tipica, la tecnologia non prevede infatti di  ricorrere alla pastorizzazione del latte e/o trattamento termico di partenza.

L’eterogeneità dei prodotti e la specificità delle pratiche usate in ognuna delle singole produzioni casearie ( es. nei diversi formaggi di montagna, siano essi da latte di vacca che di capra) richiede di porre quindi la massima attenzione su alcune fasi di processo fondamentali che vanno
- dalla fase di “preparazione del latte” nel caseificio (dal ricevimento al travaso in vasca di
  coagulazione/caldaia),
- alla fase di lavorazione in caldaia
- a quelle fatte fuori caldaia

In questo post cercheremo di approfondire la prima fase " sulla preparazione del latte destinato alla caseificazione".




Latte = Materia vivente

Per quanto attiene la flora microbica totale del latte, teniamo presente che essa costituisce quella "parte vivente"  denominata "carica microbica" e misurata in "unita formante colonia per
millilitro ( UFC/ml), che promuove varie attività fermentative.
Per semplificare potremmo indicare 4 categorie di batteri presenti nel latte crudo:
1- batteri utili alla caseificazione ( filocaseari)
2- batteri dannosi ( anticaseari)
3- batteri patogeni ( apportatori di malattie e disturbi gasto.intestinali)
4- batteri indifferenti.

La carica microbica nel  latte può variare molto, per diverse cause.
Una di queste cause, oltre ad eventuali contaminazioni che avvengono dalle attrezzature e/o impianti di mungitura, è ad esempio la durata del tempo di stoccaggio del latte munto.
La durata del periodo che intercorre tra la fine della mungitura e l’inizio della trasformazione del latte in formaggio può essere variabile in funzione delle pratiche locali e delle condizioni del caseificio:
il latte può essere trasformato subito, ancora caldo, o talvolta dopo uno stoccaggio anche superiore alle 24 ore.
Le ragioni di tale diversità di durata sono dovute a cause specificatamente aziendali
-  tipo ad es. il non poter caseificare due volte al giorno, per scarsa disponibilità di latte per ogni singola munta, etc.
- o anche per specifici obiettivi produttivi
( es. conseguimento di una certa prematurazione biologica del latte, o anche per la necessità di affioramento di parte della crema).

Il tempo di sosta del latte crudo  che intercorre tra mungitura e trasformazione in formaggio, influenza  le sue caratteristiche microbiologiche in funzione della carica microbica di partenza e delle condizioni di stoccaggio e temperatura di conservazione del latte.

La valutazione di questo aspetto  tuttavia va fatta considerando una serie di elementi:

• per ottenere un formaggio con caratteristiche idonee è condizione necessaria che si abbia una
fermentazione lattica in tempi accettabili ( aiutandosi ad es. con l'uso di fermenti lattici e starter reperibili in commercio );
• il formaggio deve essere sicuro , deve rispettare i principi e le norme stabilite dai Regolamenti Europei in materia di sicurezza alimentare, nonché i criteri microbiologici  relativi;
• i formaggi devono rispondere ad uno standard qualitativo che viene riconosciuto dal senso comune dei consumatori e dai rapporti di scambio commerciale.

L’obiettivo principale è quindi quello di trovare un equilibrio tra l’esigenza tecnologica di trasformazione casearia e quella di avere un latte con una carica di batteri lattici con minima presenza di microflora contaminante potenzialmente responsabile di difetti, nonché di assoluta assenza di germi patogeni.

La qualità microbiologica del latte caldo appena munto, generalmente dipende essenzialmente dalle pratiche di mungitura, dalle condizioni di raccolta, dal trasporto e travaso del latte.
La sua attitudine “microbiologica” alla trasformazione casearia, e quindi la sua "fermentescibilità", si
confronteranno da un lato con la carica microbica iniziale (numero e tipo di microrganismi) e dall'altro con  eventuali  sistemi antimicrobici utilizzabili nella tecnologia di alcuni formaggi a latte crudo ( tipo ad es. lisozima nel formaggio Grana, etc)

La capacità di autodifesa del latte, se da un lato favorisce la sua conservazione nelle primissime ore dalla mungitura,( fin tanto ad esempio che la temperatura non sia stata abbassata dai sistemi di refrigerazione) , dall'altro lato come nel caso di trasformazione immediata (latte “caldo”) è corresponsabile del ritardo nell’avvio della fermentazione lattica, soprattutto quando non vengono utilizzati alcun starter di batteri lattici selezionati.

La ridotta carica microbica del latte appena munto è un fattore generalmente ricercato, che tuttavia, nel caso particolare dei formaggi a latte crudo, lavorato caldo (senza starter), può rallentare la velocità della fermentazione lattica lasciando spazio a fermentazioni indesiderate.( es gonfiore delle cagliate lattiche). Utile in questo caso sarebbe poter conoscere la "tipologia" di carica batterica presente nel latte lavorato ( se filo-casearia oppure anti-casearia).
In alternativa l'utilizzo di colture di fermenti lattici (selezionati) aggiunti al latte, può sicuramente darci una garanzia di "impronta" favorevole alla caseificazione.
Risulta quindi discutibile la teoria di coloro che affermano che il latte “pulito” non può
essere trasformato in formaggio e che troppa igiene fa male alla qualità.



Bisogna invece considerare che, in caso di trasformazione del latte  ove il produttore decide di  non- utilizzare "starter di batteri lattici selezionati"  e/o cerchi di attuare una sorta di prematurazione biologica, conservando il latte magari ad una temperatura superiori a +15°C
per 12-24 ore, può risultare invece una pratica  dannosa se non addirittura pericolosa!

E' stato osservato infatti che la conservazione del latte  tra 10°C e 15°C non può essere valutata solo in termini di prematurazione, ma purtroppo anche in termini di rischio associabile alla crescita di flora di interesse igienico-sanitario ( e/o anticasearia)
-Escherichia coli ad es. si duplica con velocità crescente già a temperatura superiore ad 8°C,
-Staphylococcus aureus e gli stafilococchi “coagulasi positivi” in genere, pur potendo duplicarsi a
temperature maggiori di 10°C, sono molto più lenti ed il loro numero permane sostanzialmente inalterato per 24 ore fino a 16°C.
A temperatura del latte superiore a 20°C, (per es. 25°C per un periodo di 16 ore),
Staph. aureus inizia però a crescere velocemente nel latte e potrebbe portare anche alla produzione di tossine stafilococciche.




Le condizioni applicate alla sosta del latte prima della trasformazione dovrebbero quindi essere il risultato di una procedura di scelte eseguite sulla base di chiarezza e priorità di obiettivi, cercando il miglior compromesso possibile ed in ogni caso privilegiando la sicurezza alimentare. 
Consideriamo anche che la scelta di dare priorità alla sicurezza potrebbe portare ad un risultato scadente dal punto di vista organolettico per  alcune tipologie di formaggio.


Le regole igieniche e la buona pratica casearia dicono che il latte andrebbe velocemente raffreddato a
temperatura inferiore a +8°C fino al momento della sua trasformazione e conservato non oltre una durata tale per cui la carica microbica ecceda il limite di 300.000 ufc/ml.
La normativa attuale (Reg CE 853/2004) infatti non prevede limiti massimi di durata della conservazione del latte prima della trasformazione, ma fissa il criterio microbiologico di 300.000 germi/ml, (prima della lavorazione).

Per i formaggi di nicchia a latte crudo nel cui schema produttivo la tecnologia non prevede fasi-tecniche per la eliminazione/riduzione del rischio classicamente riconosciuti (pastorizzazione del latte, acidificazione veloce, cottura o filatura della cagliata, uso di additivi conservanti), si dovrebbe valutare con maggiore rigore le possibilità di rischio di sicurezza alimentare.
Spesso si dichiara che il formaggio avrà una durata di stagionatura superiore a 60 giorni facendo così sussistere la motivazione tecnica per l’ottenimento di deroghe ai sopracitati limiti.
Talvolta accade anche che, in assenza di rigorosi sistemi di controllo tracciabilità, il formaggio sia commercializzato prima del termine dei 60 giorni, con il rischio però di possibile contaminazione della crosta, o di  differente grado di maturazione.

Un ulteriore problema per il piccolo produttore è anche quello della carenza di informazione. Spesso il piccolo produttore non è cosciente di rispettare o meno il limite di carica microbica, o anche di come e quando si devono gestire i prodotti a rischio.
Il piccolo produttore tradizionale, anche giovane, ha essenzialmente un sapere pratico tramandato da
generazioni di produttori che gli permette di fare il formaggio, ma risente della carenza di un percorso
formativo precedente l’inizio della sua attività produttiva, che avrebbe potuto fornirgli quelle conoscenze di tipo microbiologico, normativo e “scientifico” più in generale, indispensabili oggi per gestire le responsabilità che la legge affida al produttore di alimenti.
Oggi fortunatamente sono maggiormente disponibili le possibilità di carpire tali informazioni ( questo blog vuole contribuire in tal senso!)


Altro aspetto da valutare è la sosta per motivi tecnologici.
La sosta del latte può anche servire per una parziale scrematura della munta della sera che sarà poi miscelata con quella del mattino al fine di avere un formaggio meno grasso e disponibilità di panna per produrre burro.
Una temperatura più elevata di stoccaggio del latte può favorire la separazione della crema. La microflora del latte crudo avrà una crescita la cui velocità dipenderà dalla carica iniziale, dalla variabilità di generi e specie microbiche presenti, dalla temperatura e dal tempo.
 L’agglomerazione dei globuli di grasso di fatto  allontana quota parte della microflora del latte, ma teniamo ben presente che con temperatura maggiore di 15°C,  aumenta la probabilità di avere una carica microbica superiore a quella iniziale sia nella crema, sia nel latte parzialmente scremato.
Qualora la temperatura di sosta superi invece i 20°C per un tempo superiore a 16 ore, aumenta il rischio di avere nella crema la presenza di tossine stafilococciche termoresistenti e l’entità del rischio dipenderà dalla contaminazione iniziale del latte da parte di stafilococchi “coagulasi positivi”.
La possibilità di avere crescita di enterobatteri tossinogeni è egualmente reale , considerando che nella intera linea di produzione di questi formaggi non intervengono trattamenti termici in grado di denaturare le eventuali enterotossine preformate,; si aumenta il rischio di contrarre tossinfezione, anche nell’ipotesi poco probabile che gli enterobatteri non siano poi in grado di continuare a crescere nelle fasi successive della caseificazione.
Il consiglio è quindi quello di non oltrepassare la temperatura di 12°C per un tempo ( tra mungitura ed inizio della caseificazione) di massimo 12 ore.

                                                                    pH metro

Utile è inoltre  misurare regolarmente il valore di acidità del latte (acidità titolabile/pH)  all’arrivo in caseificio ed immediatamente prima della lavorazione ricordandosi di trascrivere il dato.
 Questa doppia misura permetterà una prima verifica dell’effettiva qualità del latte in termini di stabilità del latte/prematurazione).

E’ importante raffreddare il latte per poterlo conservare, pur nella consapevolezza che una conservazione prolungata a+ 4°C, se da un lato rallenta la crescita microbica in genere,
dall’altro tuttavia permette la crescita dei "batteri psicrofili" ( anticaseari)

Le indicazioni nel caso di utilizzo di latte di due munte consecutive sono quelle di conservare a temperatura  minore/uguale a 4°C il latte della prima munta per un tempo non superiore a 12 ore in modo tale da ridurre al minimo il tempo a disposizione per lo sviluppo della flora psicrofila.

Per lo stoccaggio del latte crudo è bene utilizzare, laddove possibile, i serbatoi refrigeranti per raggiungere velocemente la temperatura desiderata. Utili a tale scopo sono i serbatoi refrigeranti con frigo-termostato automatico. In assenza di tali attrezzature occorre comunque prevedere sistemi che consentano, mediante scambio indiretto di calore con acqua di rete, di raffreddare velocemente il latte latte (vedasi l’esempio del serpentino da immergere nella massa).



Banale, ma non inutile, anche l’avvertenza di controllare/far controllare la precisione del termometro con cui si misura la temperatura del latte.
Nel caso si debba stoccare il latte  per più tempo (24/48 ore), si deve avere la consapevolezza che si sta utilizzando latte crudo la cui microflora sarà comunque alterata nei suoi equilibri iniziali e che tale squilibrio non è sicuramente a favore della flora lattica. In altre parole, la “qualità” dei formaggi ottenuti con latte refrigerato per lungo tempo, difficilmente potrà essere uguale a quella dei formaggi ottenuti da latte con aggiunta di colture starter di batteri lattici ( selezionati)!

Alla prossima.